Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale sig. Mario Malossini, autorizzato con delibera della giunta provinciale n. 846 del 3 febbraio 1992, rappresentato e difeso dagli avvoccati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia 1, per mandato speciale a rogito del notaio dott. Pierluigi Mott di Trento in data 6 febbraio 1992, n. 57289 di rep., contro il presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore, in relazione al decreto del Ministro del tesoro, emesso di concerto con il Ministro per gli affari sociali, in data 21 novembre 1991, recante "modalita' per la costituzione dei fondi speciali per il volontariato presso le regioni", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 13 dicembre 1991. L'art. 15 della legge 11 agosto 1991, n. 266 ("legge quadro sul volontariato") prevede che gli enti creditizi pubblici ristrutturati ai sensi del d.lgs. 20 novembre 1990, n. 336, primo comma, nonche' le Casse di risparmio fino a quando non abbiano proceduto alle operazioni di ristrutturazione di cui e detto d.lgs. n. 356/1990, secondo comma, debbano destinare, rispettivamente, una quota non inferiore a un quindicesimo dei propri proventi non vincolati a riserva per aumenti di capitale delle societa' esercenti l'impresa bancaria (art. 12, lett. d, d.lgs. n. 356 cit.), e una quota di un decimo delle somme destinate per legge ad opere di beneficienza e di pubblica utilita', alla "costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attivita'". Le modalita' di attuazione di tali norme sono demandate a un decreto interministeriale (terzo comma). Peraltro l'art. 16 della legge, con norma di incerta portata, stabilisce che "fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, le Regioni provvedono ad emanare o adeguare le norme per l'attuazione dei principi contenuti nella presente legge entro un anno dalla data della sua entrata in vigore". L'art. 15 della legge, unitamente ad altre disposizioni della medesima, e' stato oggetto di impugnazione da parte della Provincia esponente, in quanto vincola specificamente la destinazione di fondi pubblici destinati ad attivita' fondamentalmente di assistenza e beneficienza, e comunque di competenza provinciale, e soprattutto in quanto destina tali somme, fatte affluire sui fondi speciali costituiti presso le regioni e le province autonome, al finanziamento di "centri di servizio" aventi la funzione di sostenere e qualificare l'attivita' delle organizzazioni di volontariato, ma posti a disposizione delle organizzazioni di volontariato e da questa gestiti, e quindi sottratti ad ogni reale controllo da parte delle regioni e province autonome; attribuendo infine ad un decreto ministeriale il compito di dettare le modalita' attuative di tali norme. Il ricorso (iscritto al n. 37/91) e' stato discusso all'udienza del 21 gennaio 1992, ma la decisione della Corte non e' stata ancora pubblicata. Nel frattempo e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il d.m. 21 novembre 1991, recante "modalita' per la costituzione dei fondi speciali per il volontariato presso le regioni". Tale decreto stabilisce anzitutto (art. 1) che le somme di cui all'art. 15 della legge siano destinate per il 50% al fondo speciale costituito presso la Regione ove gli istituti di credito hanno sede legale; per il restante 50% "ad uno o piu' altri fondi speciali, scelti liberamente dai suddetti enti e casse". La ripartizione percentuale delle somme e' effettuata in sede di approvazione del bilancio preventivo o del bilancio di esercizio. L'art. 2 del decreto stabilisce poi che "presso ogni regione e' istituito un fondo speciale" nel quale "sono contabilizzati gli importi segnalati" dagli istituti di credito. Tuttavia "tali somme costituiscono patrimonio separato avente speciale destinazione, di pertinenza degli stessi enti e casse", e sono "disponibili esclusivamente per i centri di servizio" primo comma. Ogni fondo speciale e' amministrato da un "comitato di gestione" secondo comma, formato dal presidente della giunta regionale o un suo delegato; quattro rappresentanti delle organizzazioni di volontariato "maggiormente presenti nel territorio regionale", nominati dal Presidente del Consiglio regionale; un membro nominato dagli istituti di credito, in ragione di uno per ogni settimo del totale delle somme destinate al fondo speciale (cfr. quinto comma); un membro nominato dall'associazione fra le casse di risparmio italiano individuandolo in un rappresentante di uno fra gli istituti che abbiano contribuito al fondo e privilegiando, anche con criteri di rotazione, gli istituti che, pur avendo contribuito, non hanno titolo a nominare un proprio membro (cfr. sesto comma). Il comitato di gestione, ai sensi del quarto comma dello stesso art. 2, riceve le istanze per la istituzione dei centri di servizio, e, d'intesa con l'ente locale interessato, istituisce i medesimi centri di servizio, istituisce e pubblicizza l'elenco regionale dei centri di servizio; riceve i rendiconti dei centri medesimi e ne verifica le regolarita' nonche' la conformita' ai rispettivi regolamenti. L'art. 3 del decreto disciplina la istituzione dei centri di servizio; su richiesta degli enti locali, o di almeno cinque organizzazioni di volontariato, o degli istituti di credito o delle federazioni di volontariato, avanzata al comitato di gestione del fondo tramite l'ente locale, detto comitato iscrive il centro nell'elenco regionale, previo accertamento che esso sia o un'organizzazione di volontariato iscritta nel registro regionale, oppure una fondazione riconosciuta "ovvero altro soggetto autonomo di imputazione di rapporti giuridici", il cui statuto preveda lo svolgimento di attivita' a favore delle organizzazioni di volontariato. Il funzionamento dei centri di servizio (quarto comma) e' disciplinato da apposito regolamento approvato dagli organi competenti dei soggetti che ne hanno chiesto l'istituzione, e ispirato ai principi sanciti dall'art. 3, secondo comma, della legge (assenza di fini di lucro, democraticita' della struttura, elettivita' e gratuita' delle cariche associative, gratuita' delle prestazioni fornite dagli aderenti, ecc.). L'art. 4 del decreto stabilisce che "i centri di servizio hanno lo scopo di sostenere e qualificare l'attivita' di volontariato" e a tale fine erogano le proprie prestazioni sotto forma di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato, e in particolare " a) approntano strumenti e iniziative per la crescita della cultura della solidarieta', la promozione di nuove iniziative di volontariato e il rafforzamento di quelle esistenti; b) offrono consulenza e assistenza qualificata nonche' strumenti per la progettazione, l'avvio e la realizzazione di specifiche attivita'; c) assumono iniziative di formazione e qualificazione nei confronti degli aderenti ad organizzazioni di volontariato; d) offrono informazioni, notizie, documentazioni e dati sulle attivita' di volontariato locale e nazionale". L'art. 5 stabilisce che gli istituti di credito depositano presso enti creditizi da loro scelti, a favore di ciascun centro di servizio, gli importi di rispettiva pertinenza comunicati annualmente dal comitato di gestione del fondo; i centri di servizio prelevano le somme necessarie al proprio funzionamento, redigendo rendiconti preventivi (sic |) e consuntivi, trasmessi al comitato di gestione competenze per territorio, mentre i proventi provenienti da diversa fonte sono autonomamente amministrati. L'art. 6 stabilisce che "le regioni a statuto speciale e le prov- ince autonome di Trento e Bolzano disciplinando con proprio provvedimento, tenendo conto delle rispettive realta' locali, quanto previsto nei precedenti artt. 2, 3, 4 e 5, nel rispetto dei principi contenuti nella legge n. 266/1991 e dei criteri risultanti dalle norme del presente decreto". L'art. 7 detta disposizioni transitorie. Il decreto in questione non solo rinnova la lesione dell'autonomia provinciale gia' discendente dall'art. 15 della legge, ma risulta autonomamente lesivo di tale autonomia, per i suoi contenuti in larga parte non conformi nemmeno alle disposizioni di legge, e quindi non sorretti da idonea base legislativa. Si pone, preliminarmente, il problema della portata da attribuire al citato art. 6 del decreto, da cui risulta che esso non e', come tale, direttamente applicabile (o quanto meno vincolante) nell'ambito della provincia, ma che impone alla provincia autonoma di disciplinare la materia "nel rispetto dei principi contenuti nella legge n. 266/1991 e dei criteri risultanti dalle norme" del decreto medesimo. Il richiamo ai principi contenuti nella legge, riferito alle regioni speciali e alle province autonome, muove dalla premessa che la legge stessa contenga principi vincolanti anche per tali enti: in contrasto con la circostanza che, avendo la provincia competenza primaria e non concorrente nelle materie cui la legge si riferisce (essenzialmente l'assistenza e beneficienza, ma anche ad esempio l'urbanistica e quindi l'ambiente), la legge quadro non puo' vincolare la legislazione provinciale (non potendosi certo attribuire alla legge n. 266 carattere di riforma economico-sociale, le cui norme fondamentali limitino la competenza del legislatore provinciale nell'esercizio della competenza primaria). Gia' sotto questo profilo, dunque, l'art. 6 del decreto appare lesivo dell'autonomia provinciale. Ma tale lesione e' ancora piu' grave la' dove lo stesso art. 6 pretende di vincolare la legislazione provinciale al rispetto non solo dei principi contenuti nella legge, ma altresi' dei "criteri risultanti dalle norme" del decreto stesso. In tal modo si trasforma impropriamente il decreto ministeriale in una ulteriore fonte di limiti per l'autonomia provinciale, in pieno contrasto con lo statuto nonche' con il principio di legalita' sostanziale, posto che, come si vedra', molte delle norme del decreto non trovano alcun fondamento nella legge. A nessun titolo infatti la competenza primaria della provincia autonoma - espressamente riconosciuta dallo stesso art. 6 del decreto dal momento che esso differenzia la posizione delle Province autonome e delle regioni speciali, escludendo per esse la diretta applicabilita' delle norme in esso poste - (come del resto nemmeno la competenza concorrente) potrebbe ritenersi limitata o limitabile da norme poste con decreto ministeriale, per di piu' nemmeno sorrette da idoneo fondamento legislativo. Del resto il decreto, alle cui norme si vorrebbe vincolare la provincia, non ha la struttura di atto di indirizzo: non pone obiettivi e non indica risultati o standards, ma dispone minuziosamente le modalita' di gestione ed erogazione dei fondi, di istituzione e funzionamento dei centri di servizio. E l'art. 6, si badi, impone che la provincia disciplini, nel rispetto dei criteri del decreto, "quanto previsto nei precedenti artt. 2, 3, 4 e 5", cioe' tutto cio' che riguarda le modalita' di gestione dei fondi e dei centri di servizio. Questo riferimento analitico alle singole disposizioni del decreto rende palese che si e' inteso vincolare la Provincia non a rispettare solo dei criteri generali, ma a seguire, si direbbe passo passo, la disciplina della materia delineata dal decreto. In sostanza la Provincia dovrebbe limitarsi a recepire in un "proprio provvedimento" il contenuto del decreto ministeriale. La lesione dell'autonomia e' dunque palese. I contenuti del decreto, come si e' detto, vanno molto oltre la legge, con la quale essi anzi spesso contrastano, e sono a loro volta concretamente lesivi dell'autonomia provinciale. In primo luogo, l'art. 1 (che, pur non essendo compreso fra quelli richiamati nell'art. 6, si svolge direttamente agli istituti di credito, e quindi e' presumibilmente applicabile anche in Trentino) destina solo il 50% delle somme erogate dagli istituti di credito al fondo costituito presso la Regione ove gli istituti stessi hanno sede legale, mentre l'altro 50% puo' essere destinato ad uno o piu' "altri" fondi speciali, liberamente scelti dagli istituti eroganti. Ora, la provincia ricorrente non intende qui discutere il fondamento, nei riguardi degli istituti di credito, del vincolo posto dalla legge in capo ad essi. Constata pero' che la legge, avendo disposto che certe somme siano obbligatoriamente destinate al sostegno delle organizzazioni di volontariato, ha in realta' disposto l'erogazione di fondi pubblici, nell'ambito provinciale, per finalita' rientranti nelle competenze della Provincia (principalmente nel campo dell'assistenza e beneficienza, nonche' della sanita' e dell'ambiente). Ma tale erogazione, anziche' passare attraverso i meccanismi previsti dallo statuto e dalle norme di attuazione e di coordinamento finanziario (e cosi' assegnazione alla Provincia di quote dei fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi uniformi di prestazioni; o l'assegnazione al bilancio della provincia di altri finanziamenti, per essere utilizzati, nell'ambito del settore corrispondente, secondo normative provinciali: art. 5, primo e secondo comma, legge 30 novembre 1989, n. 386), e' disciplinata con meccanismi che in parte sfuggono del tutto alla Provincia, anche formalmente (il 50%, destinabile a fondi speciali diversi da quello costituito presso la Provincia), in parte sono comunque sottratti alla disponibilita' e al controllo sostanziali della provincia, date le modalita' di impiego stabilite dal decreto. Gia' l'art. 1 del decreto, dunque, viola l'autonomia finanziaria e di spesa della Provincia. L'art. 2 del decreto disciplina un meccanismo attuativo non previsto dalla legge n. 266/1991, e in contrasto con essa. La legge infatti prevede la "costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio". Dunque prevede: a) che si tratti di un fondo della Regione (o provincia autonoma), come tale, ovviamente, destinato ad essere da essa amministrato e gestito secondo le proprie normative, sia pure per il fine fissato dalla legge; b) che il fondo sia impiegato (s'intende: dalla regione o provincia autonoma) per istituire, tramite gli enti locali, i centri di servizio: dunque la istituzione dei centri dovrebbe essere attivita' della provincia, o dell'ente locale su mandato della provincia; c) che, una volta istituiti, i centri di servizio siano "a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti"; quindi siano centri pubblici, incardinati nella organizzazione provinciale (o dell'ente locale), messi a disposizione delle organizzazioni e sottoposti a forme di "gestione sociale". Viceversa l'art. 2 del decreto, nell'istituire i fondi, stabilisce anzitutto che ad essi non affluiscono le somme destinate dagli istituti di credito; tali somme sarebbero solo "contabilizzate" nel fondo, ma resterebbero di pertinenza degli istituti come "patrimonio separato" (art. 2, primo comma). Palese e' il tentativo del Ministro di ammorbidire l'opposizione delle banche ad una normativa che vincola l'utilizzo dei loro fondi. Ma altrettanto palese e' il contrasto con la legge, che prevede la destinazione di dette somme alla "costituzione" dei fondi speciali. Secondo la normativa del decreto, non si capisce a che serva l'istituzione del fondo: esso resta una mera finzione, un mero flatus vocis, perche' le somme passano direttamente dal "patrimonio separato" di pertinenza degli istituti di credito (art. 2, primo comma) a depositi bancari costituiti "a favore di ciascun centro di servizio", dai quali tali centri prelevano le somme necessarie al proprio funzionamento (art. 5, primo comma). Dunque non c'e' nessun "fondo": c'e' solo un "comitato di gestione" il cui compito non e' di amministrare il fondo (che non c'e'), ma solo quello di istituire i centri di servizio e di disporre la ripartizione delle somme messe a disposizione delle banche nel modo che si e' detto. Un organo con poteri di ripartizione e di controllo, non di amministrazione delle somme, che passano direttamente dalle banche ai centri di servizio. Le somme non sono dunque affatto "destinate alla costituzione di fondi speciali presso le regioni", come vuole la legge (art. 15, primo comma). Ed e' lesa, ancora una volta, l'autonomia finanziaria e di spesa della provincia. Ma c'e' di piu'. Si e' detto come le somme siano anche formalmente e contabilmente sottratte alla provincia. Ma l'organismo da cui "ogni fondo speciale e' amministrato" (art. 2, secondo comma; in realta', l'organismo che provvede agli adempimenti sopra descritti, e non consistenti in una vera amministrazione del fondo) non e' un organo della provincia, ne' inserito nella sua organizzazione, ed e' anzi formato in modo tale da escludere in sostanza qualsiasi significativo ruolo della provincia. E' prevista solo la presenza (nemmeno la presidenza) del presidente della giunta: gli altri tredici componenti sono tutti estranei alla provincia, trattandosi di un membro nominato dal Ministro per gli affari sociali, di quattro rappresentanti delle organizzazioni di volontariato e di otto rappresentanti degli istituti di credito (art. 2, secondo comma). I rappresentanti delle organizzazioni di volontariato sono "nominati dal presidente del consiglio regionale": con cio' pero' non si attribuisce alcun ruolo effettivo della provincia, perche' sono rigidamente indicati i criteri di nomina (la presenza maggioritaria delle organizzazioni nel territorio), ma per altro verso si viola l'autonomia organizzativa della provincia, designandosi direttamente l'organo competente a provvedere alla nomina. L'organismo cosi' costituito - il comitato di gestione - non e' in alcun modo assoggettato a disciplina provinciale: anzi esso e' dotato di autonomia regolamentare, poiche' fissa, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, "le norme disciplinanti le modalita' di fuzionamento ed elegge nel suo seno il presidente" (art. 2, terzo comma). Questo organismo - cui la provincia resta sostanzialmente estranea - ha tutti i poteri: non solo ripartisce il fondo (in realta', le somme messe a disposizione dalle banche) ma e' investito di tutti i poteri amministrativi in ordine alla costituzione e alla gestione dei centri di servizio. Cosi', esso riceve le istanze e, di intesa con l'ente locale, "istituisce" i centri (art. 2, quarto comma, lett. a); art. 3, primo, secondo e terzo comma); istituisce l'elenco regionale dei centri (art. 2, quarto comma, lett. b); art. 3, terzo comma); partecipa alla gestione e al controllo dei centri (confondendosi cosi' fra l'altro controllore e controllato), in quanto da un lato nomina un membro degli organi deliberativi e uno degli organi di controllo dei centri (art. 2, secondo comma, lett. c)), dall'altro lato riceve i rendiconti dei conti e ne verifica la regolarita' nonche' la conformita' ai rispettivi regolamenti (art. 2, quarto comma, lett. e); art. 5, secondo comma). Dunque, mentre l'art. 15 della legge presuppone che l'istituzione dei centri spetti alla regione o alla provincia autonoma, presso cui e' costituito il fondo, il decreto trasferisce tale compito in capo al comitato di gestione del fondo. Mentre per la legge sono i centri di servizio, istituiti dalla regione e finanziati col fondo, a dover essere gestiti dalle organizzazioni di volontariato, il decreto immette queste ultime nell'organismo (il comitato di gestione del fondo) a cui affluisce, contra legem, il compito di ripartire il fondo e di istituite i centri di servizio, nonche' di partecipare alla loro gestione e (contemporaneamente) al loro controllo. Si tratta dunque di un sistema del tutto estraneo alla previsione della legge, e contrastante con essa; nonche' di un sistema che si sostanzia nella totale sottrazione alla provincia autonoma di ogni ruolo significativo sia in ordine alla ripartizione e gestione del fondo, sia in ordine alla istituzione, alla gestione e al controllo dei centri di servizio. Come si e' ricordato, secondo l'art. 15 della legge, i centri dovrebbero essere strutture istituite, "per il tramite degli enti locali" dalla regione o provincia autonoma, per essere messe a disposizione delle organizzazioni di volontariato, che dovrebbero pure gestirli. Sembra comunque pacifico, secondo la legge, che, oltre alla istituzione dei centri, spetta alla regione o provincia autonoma anche la regolamentazione e il controllo sugli stessi, e la disciplina della loro attivita'. Viceversa, come pure si e' detto, il decreto ministeriale impugnato rovescia l'impostazione. I centri di servizio non sono disciplinati come strutture pubbliche, ma essi stessi come organizzazioni di volontariato ovvero fondazioni o altri "soggeti autonomi di imputazione dei rapporti giuridici" (art. 3, terzo comma), a carattere dunque sostanzialmente privato. Il loro funzionamento e' affidato ad appositi regolamenti approvati dagli organi competenti dei soggetti privati medesimi (art. 3, quarto comma). Quanto alla gestione e al controllo, solo il comitato di gestione del fondo, e non la provincia, ha il potere di nominare un componente degli organi deliberativi e uno degli organi di controllo dei centri (art. 2, quarto comma, lett. c)), solo al comitato di gestione, e non alla provincia, spetta ricevere i rendiconti e verificarli (art. 2, quarto comma, lett. e); art. 5, secondo comma). I centri hanno dunque una configurazione ibrida: strutture pri- vate, ma istituite dal comitato di gestione, con gestione partecipata e controllata da parte del comitato stesso, e disciplinate da un regolamento da esse stesso formato ma vincolato alla legge (art. 3, quarto comma). In ogni caso, la provincia e' privata da ogni ruolo, anche formale, nei confronti di detti centri. Quanto alle funzioni dei centri medesimi, l'art. 4 del decreto le disciplina minuziosamente, identificandole in attivita' rientranti nell'ambito delle competenze provinciali. Cosi' essi "approntano strumenti e iniziative per la crescita della cultura della solidarieta'" (espressione tanto generica da ricomprendere ogni forma di attivita' culturale e sociale), nonche' per "la promozione di nuove iniziative di volontariato e il rafforzamento di quelle esistenti" (lett. a)) dunque non tanto operano a sevizio delle organizzazioni, quanto realizzano una vera politica del volontariato: compito, questo, inevitabilmente interferente con le competenze provinciali. Ancora essi, oltre ad offrire consulenza e assistenza, offrono "strumenti per la progettazione, l'avvio e la realizzazione di specifiche attivita'" (lett. h)): dunque svolgono attivita' opera- tive, in campi che rientrano nella competenza provinciale. Inoltre essi "assumono iniziative di formazione e qualificazione nei confronti degli aderenti ad organizzazioni di volontariato" (lett. c)): dunque svolgono funzioni, sostanzialmente, di formazione professionale, ancora una volta rientranti fra le competenze provinciali. Il carattere ibrido, pubblico-privato, dei centri, non puo' far sfuggire il fatto che si tratta in sostanza di strutture disciplinate in parte da norme pubblicistiche, istituite con un procedimento di tipo amministrativo, funzionanti con la partecipazione e il controllo di organismi pubblici, e finanziate con fondi pubblici: disciplinando tali strutture, e conferendo ogni potere in ordine ad esse a un organismo pubblico cui la provincia resta in sostanza estranea (il comitato di gestione del fondo), il decreto impugnato viola da un lato l'autonomia organizzativa della provincia, dall'altro le competenze provinciali nei settori in cui opera il volontariato.